Un fondo di private equity o di venture capital, che intenda fare ingresso in una società già attiva, stipula frequentemente un accordo di investimento, contenente una serie di impegni aventi natura parasociale, destinati ad incidere in maniera più o meno penetrante nella vita della società (anche oltre a quanto viene stabilito nello statuto sociale della società stessa).
In tale contesto, è frequente imbattersi in accordi – variamente articolati – con i quali i soci (o, più precisamente, i parasoci) si obbligano a finanziare, di volta in volta, la società, sulla base del fabbisogno finanziario atteso. Questi apporti dei soci potranno, in pratica, prendere la forma di aumenti di capitale oppure di dazioni alla società che non verranno (almeno nell’immediatezza) imputati a capitale (ad esempio, versamenti in conto futuro aumento di capitale o finanziamenti).
Tali accordi prendono il nome di patti di finanziamento (equity commitments), circa i quali l'investitore istituzionale così come quello privato deve prestare particolare attenzione, poiché suscitano alcuni interrogativi in relazione alla loro efficacia verso la società nel caso, non infrequente in Italia, in cui gli stessi non siano sottoscritti anche dalla società medesima.
Infatti, si dibatte se tali patti di finanziamento possano essere ricondotti all'interno dello schema civilistico del contratto a favore di terzo, di cui agli articoli 1411 e ss. del Codice Civile. Com'è noto, nel contratto a favore di terzo una parte (stipulante) designa un terzo quale avente diritto alla prestazione dovuta dalla controparte (promittente). Il terzo, estraneo al contratto, acquista il diritto alla prestazione nei confronti del promittente come effetto diretto del contratto medesimo, ancorché solo in maniera precaria (poiché la disposizione a favore del terzo può essere revocata o modificata dallo stipulante), consolidandosi solamente con la dichiarazione del terzo di voler profittare della prestazione disposta in suo favore (art. 1411, 2° comma, c.c.).
Nel patto di finanziamento, i parasoci – parti contrattuali del patto parasociale – reciprocamente promettono di effettuare in futuro le dazioni di liquidità alla società, terzo rispetto all’accordo parasociale. Se la questione si potesse così semplicemente ridurre, la società avrebbe facoltà di richiedere direttamente il finanziamento ai parasoci, con la sola necessità della sua dichiarazione (di volerne profittare). Per alcuni, questa dichiarazione potrebbe anche essere tacita o per fatti concludenti. Con l’estrema conseguenza che, anche in caso di successive dispute tra parasoci, gli organi sociali (dei quali magari fanno parte anche soci terzi rispetto al patto parasociale) sarebbero legittimati a richiedere direttamente al singolo parasocio la liquidità pattuita, anche agendo a tal fine in giudizio.
Alcuni autori dubitano che ai patti di finanziamento possa applicarsi in maniera semplicistica lo schema del contratto a favore di terzo (spesso utilizzato per qualificare il patto parasociale), dovendosi invece indagare, di volta in volta, se i soci abbiano voluto specificatamente attribuire alla società un diritto ad esigere una determinata prestazione, ovvero se essi abbiano meramente voluto dettare regole comportamentali destinate a valere esclusivamente tra le parti (e, in quest’ultimo caso, si ricadrebbe nel diverso schema del contratto con prestazione al terzo, nel quale il terzo non ha azione verso il promittente, in questo caso il parasocio). Certamente la linea demarcatrice non è semplice da tracciare, ma è un’indagine da svolgersi, poiché consentirà di accertare se la società abbia o meno diritto a richiedere direttamente al singolo parasocio la finanza promessa (ovvero, se tale finanza potrà essere richiesta solamente dallo stipulante verso l’altro parasocio inadempiente) ovvero, in caso di procedure concorsuali, dall’organo della procedura medesima, sempre verso il parasocio.
Ad ogni modo, anche a voler ritenere i patti di finanziamento quali contratti a favore di terzo, deve comunque sottolinearsi che, come prima accennato, la società, per acquistare un diritto proprio nei confronti del parasocio promittente (e per rendere definitivamente irrevocabile la prestazione), deve esprimere la propria accettazione. Circa tale aspetto, dal punto di vista strettamente societario, si dibatte se tale dichiarazione possa intervenire per il tramite del solo legale rappresentante, in autonomia, oppure se sia necessaria una (preventiva) delibera o dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione. Ragioni di ordine sistematico – nonché relative alla responsabilità gestoria dei singoli amministratori – fanno propendere per la necessità di una (preventiva) deliberazione dell’organo amministrativo, funzionale alla manifestazione della volontà di profittare della prestazione pattuita e, dunque, di richiedere al parasocio, eventualmente inadempiente, la finanza pattuita.
L’ipotesi più rigorosa, per conferire alla società azione diretta verso il singolo parasocio (e superare anche i dubbi applicativi relativi al contratto a favore di terzo), sarebbe quella di rendere la società stessa parte del patto parasociale, con uno schema utilizzato di frequente nei paesi anglosassoni. In tale eventualità, la società (non più terzo ma, appunto, parte contrattuale) potrà senz’altro agire direttamente verso il parasocio inadempiente all’obbligo di apporto finanziario. L’ipotesi è, dal punto di vista pratico, molto interessante. Tuttavia, essa pone dei problemi con riguardo al grado di riservatezza delle pattuizioni contenute nell’accordo parasociale. Infatti, come spesso avviene, i soci concordano determinati profili del loro rapporto in sede parasociale, proprio perché non vogliono esibire tali regolamentazioni alla società, al suo organo amministrativo o agli altri soci. È evidente che, rendendo la società parte del patto parasociale e, dunque, di fatto esibendo a terzi tale contratto (e le previsioni in esso contenute) questa riservatezza verrebbe meno.
Attenzione deve quindi essere riposta nella redazione di tali clausole parasociali, con particolare riguardo all’individuazione dei soggetti (società o soci) che ne possono invocare l’adempimento e al fine di evitare possibili contenziosi che coinvolgano società, parasoci e altri soci rimasti estranei all’accordo parasociale, tenendo peraltro sempre in considerazione anche eventuali situazioni di crisi dell’impresa.